“LE MONETE DEL DUCE”
Lui fu fatto
prigioniero dai tedeschi in un paese vicino a Pisa durante i rastrellamenti.
Tutti gli uomini venivano portati in campi di lavoro in Germania. Fu fatto
prigioniero insieme a suo cognato, finirono nel Campo di Concentramento di Birkenau in Polonia.
Mio nonno nel suo racconto disse che lui e il cognato, furono fortunati perche
classificati prigionieri politici e quindi non furono uccisi come molti altri
prigionieri. La maggior parte dei detenuti erano soldati italiani molti dei
quali furono catturati mentre erano ignari dell'armistizio e della deposizione
di Mussolini da parte del re. Gli altri, dopo la repubblica di Salò, furono
obbligati al campo come unica alternativa al combattere a fianco dei tedeschi.
Essi furono rastrellati anche per via di un ricatto: se il soldato non si
presentava le milizie repubblichine avrebbero compiuto ritorsioni contro la sua
famiglia. L'Italia settentrionale e centrale erano ancora occupate dalle truppe
tedesche e i nuovi reparti fascisti repubblichini le stavano appoggiando. I
soldati italiani che preferivano non combattere furono rinchiusi nei campi,
obbligati a compiere diversi lavori per i tedeschi, come quello di riaggiustare
le linee elettriche e telefoniche che i bombardamenti alleati rompevano. Intanto
la situazione peggiorava per la Germania. Gli alleati stavano liberando
l'Italia e avanzavano verso le alpi, i russi sfondavano ad est e gli americani
ad ovest. Raccontava che il lavoro era massacrante: ogni giorno uscivano dal
campo per riaggiustare le linee interrotte, sotto il controllo delle guardie.
La risposta ad un soldato italiano che si era inginocchiato piangendo dicendo
“non ce la faccio più” fu un colpo sulla
nuca col calcio della pistola. Stramazzò davanti ai compagni. Mi disse che
erano immagini indelebili nella sua memoria. Lui mangiava chiocciole crude,
pomodori fatti crescere nello sterco umano. Ma lui ricordava anche situazioni
divertenti. I prigionieri facevano i loro bisogni dietro un muretto circondato
da alberelli.
Mio nonno gettò avventatamente il sacchetto col contenuto
al di là del muro dove stava passando una sentinella tedesca...seguirono imprecazioni
rabbiose e qualche colpo di pistola che gli fecero immediatamente capire
cos'era successo e, a pantaloni abbassati scappò di corsa, evitando una
vendetta sicura. In una fredda giornata di Novembre sentite alla rinfusa alcune
notizie sulla posizione tedesca decise che era il momento di evadere dal campo,
parlando così a suo cognato e a tre compagni: noi prigionieri siamo in tanti, i
tedeschi che ci controllano sono pochi. Qui è giunta notizia da parte degli
ultimi arrivati che la situazione per i nazisti è ormai tragica, gli americani
sono già a ridosso delle alpi e quindi i tedeschi dovranno lasciare il campo,
retrocedere ed organizzarsi su altre linee difensive. Qui, secondo me, ci fan
fuori tutti, sarebbe troppo rischioso da parte loro lasciarci in vita ed in
libertà, fosse solo per paura di ritorsioni da parte nostra. Tentiamo! La notte misero in atto la fuga: si sarebbero
ritrovati dietro il muro dei bisogni, protetti anche dalla vegetazione. In
fondo si intravvedeva il bosco, una volta raggiunto si sarebbe aperta qualche
consistente speranza. Certamente, scoperta la fuga, sarebbe iniziata una caccia
all’uomo, ma tra il rischio di venire ripresi, come era successo ad altri, ed
una morte quasi certa era inferiore e quindi conveniva comunque tentare. E fu
così che il gruppo scivolò furtivamente dal campo da un buco nella rete, eludendo
la sorveglianza delle sentinelle, raggiunse il bosco e poi di corsa verso i
cespugli e sterpaglie, verso la vegetazione sempre più fitta. Anche se stanchi decisero
i turni di guardia e gli altri si lasciarono andare ad un dormiveglia di
qualche ora. Continuarono a camminare e all'alba, colti di sorpresa, si
accorsero che ce la potevano aver fatta. “c’e l'abbiamo fatta ragazzi"
La prima neve dell'autunno li aveva aiutati, le tracce
erano coperte. Si diressero verso il confine italiano. Passarono per vie solitarie ed impervie tra
le creste dei monti, trovando perfino aiuto da una famiglia contadina il cui
buon senso li salvò dalla follia fascista dell'epoca, la quale diede loro cibo
e fiducia. Il confine era vicinissimo. Ormai erano a Bolzano e la loro guerra
non era ancora finita, si trovavano in un paese dove non si era ancora sicuri
perché non ancora liberato dagli alleati. Degli altri compagni del campo poi
non si seppe più nulla.. Il gruppo poi si separò, mio nonno e suo cognato si
diressero verso la Toscana e gli altri in altri posti. Tornarono a piedi verso
casa e scendendo incontrarono le rive del lago di Como. Qui si fermarono e
furono accolti di nascosto da famiglie del luogo per qualche giorno. Mi nonno
continuava con il suo racconto dicendomi come era dura la vita in quel periodo,
non c’era da mangiare, la gente, quella fortunata, aveva forse qualche moneta e
forse qualche gioiello, Mi raccontava che le famiglie che vivevano sul lago di
Como, era uso nascondere in sacche legati con lunghe cordicelle nel lago,
attraverso la finestra, per non farle trovare dai Tedeschi o dagli squadristi
Fascisti durante le loro scorribande
nelle case povere della gente del luogo, i quali prendevano qualsiasi cosa che
gli capitava a tiro per poterlo rivendere al mercato nero. Sacchetti con pochi
averi ma con grande significato. Potevano far vivere una famiglia dall’alba al
tramonto. A questo punto Oscar, come profondo conoscitore della storia del
territorio di Como, aprì gli occhi e mi disse che quando faceva immersione nel
lago, alle volte trovava dei sacchetti di iuta legati con un cordino, vuoti per
lo più ma alle volte dentro vi erano
poche monete dell’epoca. Ignaro di ciò collegò i fatti e nacque così l’idea di
poter cercare una testimonianza scritta di ciò che a me era stato raccontato e
ciò che Oscar aveva trovato.
Così ci mettemmo subito al lavoro. Dopo alcune settimane
saltarono fuori, nella immensa e districata rete di internet, alcuni racconti
fatti da persone dell’epoca, che ricordavano quello che noi stavamo vivendo.
Ecco le prove!! quelle che cercavamo ed
eccole qui….
ELIA ASCOLTA CATERINA
Nel 1943 avevo15 anni. Erano momenti brutti , c’era la guerra tra partigiani e fascisti, i ragazzidi 18 anni venivano caricati sui treno merci, ed una volta arrivati a destinazione alcuni venivano fucilati, mentre altri messi ai lavori forzati,con dietro guardie tedesche e, i prigionieri, alcune volte
erano lasciati senza cibo. Verso la fine della guerra venivano a prendere anche donne e bambini.
Non c’era cibo e per ottenerlo bisognava dare un bollino allo spaccio, non c’erano neanche soldi
e quei pochi che avevamo erano nascosti
in piccoli sacchettini di tela e legati con un pezzo di corda e buttati nel lago
per paura che i tedeschi li portassero via.
Nella scuola non
c’erano molti insegnanti e all’età di 15 anni già non ci andavamo più. Gli unici divertimenti erano le lunghe passeggiate. Durante la guerra c’erano fascisti che
vendevano cibo a prezzi carissimi, essi venivano chiamati la borsa nera.
Non c’erano ne scarpe ne vestiti, cercavamo poi di fabbricarli da soli e di confezionarli
in casa; per le scarpe c’era ilcalzolaio ma per non spendere troppi soldi noi costruivamo da soli
zoccoli di legno di tiglio. Le persone
anziane portavano sempre pantaloni bianchi e neri di cotone rigati e loro usavano tutto
l’anno, alle donne
era vietato portarli, loro vestivano
grembiuli solitamente scuri di
cotone; chi invece aveva delle pecore, filava la lana e faceva maglie, calze, berretti e sciarpe.
Per non avere tutti gli indumenti bianchi si faceva bollire le ghiande della pianta di carpano
e si intingeva dentro l’acqua bollita in questo modo, la lana da tingere.
trasportare la merce.Mi sono accorta che la guerra era finita perché suonavano tutte le campane
e la gente esultava, nelpaese c’era una radio sola, fu messa alla finestra e tutti andavano ad ascoltare la radio che dava informazioni sulla fine della guerra.
DAVIDE ASCOLTA ELENA
Vissi in continua tensione e preoccupazione nel periodo del conflitto bellico poiché le informazioni erano poche e molte volte provai una fitta al cuore in questa interminabile attesa per la fine di una
guerra della quale non riuscivo a comprendere le motivazioni. Scrissi un gran numero di lettere al mio futuro marito nel lager, ma le risposte che ottenni furono molto minori, anche se mi
rassicuravano un po’… era vivo!
Ho fatto parte del comitato della Resistenza quando avevo 25 anni e credo di essere stata la
prima a Torno (CO) che è venuta a conoscenza dell’imminente liberazione del nostro Paese
Fortunatamente i miei genitori lavoravano qui a Tornoin un negozio di macelleria e salumeria epotevamo permetterci qualcosa di più rispetto ai miseri alimenti imposti dalla tessera
annuale. Tutto era controllato dai tedeschi: si potevano acquistare 1 hg di pane e 20 g di
margarina al giorno e i
pochi soldi che guadagnavo li nascondevo in una pezza di iuta,
legato con una cordicella li buttavo nel lago,in posti prestabiliti,
evitando che nelle contine percuisizioni fasciste e tedesche me li trovassero e
me li portassero via.
Inoltre lavorai al Saprai, un ufficio che provvedeva allo smistamento dei generi alimentari, in
Questo modo ricevevo dei buoni e riuscii a spedire di nascosto diversi sacchi di farina
ai partigiani che si trovavano in Valsassina o in zone limitrofe.
Tutto ciò avveniva con la massima segretezza poiché a Sant’Agostino (Como) era appostato
il comando tedesco che voleva conoscere ogni dettaglio della situazione.
Anche se conobbi un uomo, un tedesco che, con una pronuncia italiana pessima, mi disse di
soffrire anche lui per la moglie e i figli rimasti in Germania. Ciò dimostra che tutti erano
costretti a vivere questa terribile situazione e a combattere senza motivo, poiché la sofferenza
degli alleati o dei
nemici è la medesima.
La radio si ascoltava solo quando era possibile e ogni comunicazione veniva dall’Inghilterra.
Attesi con ansia il ritorno del mio fidanzato e finalmente il 27 agosto del ’45 gli andai
incontro a Como, e l’immensa gioia che provai nell’abbracciarlo fu indescrivibile… e ancora oggi mentre ne parlo provo la stessa emozione.
ELISABETTA ASCOLTA MARTINA
Martina nel 45 aveva 20 anni. A quel tempo le donne donavano la FEDE D’ORO che lo stato
Italiano aveva loro chiesto. Il Duce aveva obbligato gli imprenditori ad indossare una camicia
nera, mentre i ragazzi per fare ginnastica indossavano calzoni neri, e camicia bianca.
Le ragazze dovevano essere vestite con una camicia bianca e la gonna nera.
Il CAMPO DUX era un campeggio di ragazzi. Le femmine andavano allo stadio di Como
Per mettersi in fila e formando così la parola DUX=duce,oppure le riunivano davanti alla
casa del fascio (oggi palazzo Terragni), dove ascoltavano i discorsi del Duce.
Le amiche di mia nonna studiavano lingue alla Berlitz school a Como. In questa scuola
suonavano l’allarme per avvertire che gli aerei stranieri arrivavano a bombardare, ed esse
scappavano. C’era la tessera annonaria, con la quale si potevano comprare vari generi
alimentari, quali zucchero,farina, pane… il vestiario veniva acquistato in base alle proprie
disponibilità finanziarie. Le scarpe
allora in uso erano con il tacco in sughero o zoccoli.
Ricordo che molti nascondevano soldi , monete e i pochi gioielli, ricordi
di famiglia ormai rimasti, in alcuni sachettini e legati con una corda li
buttavano nel lago, in posti segreti, dove poi venivano ripescati. La gente aveva paura che durante le
perquisizioni fasciste gli portassero via i loro poveri averi. Nel 1944 le lezioni scolastiche furono sospese a causa della guerra e gli studenti
dell’ultimo a causa della guerra e gli studenti dell’ultimo anno dovettero rimandare gli esami.
Un giorno passò a Lezzeno un carro armato alleato: erano soldati africani. Sulla camionetta era
Seduta una signora che aiutava l’esercito italiano. Sul lago tra Bellagio e Tremezzo fu mitragliato
un battellosul quale vi erano dei passeggeri e nelle vicinanze fu bombardato il Grand Hotel di
Tremezzo. Benito Mussolini e Claretta Petacci furono giustiziati a Giulino di Mezzegra
e i loro seguaci, i Gerarchi, tentarono di fuggire verso la Svizzera.
Il 25 aprile era commemorato
nelle pubbliche piazze con canti e sventolio di bandiere.
FRANCESCA ASCOLTANO FRANCESCO
Nel 1943 andai a nascondermi in montagna insieme a miei cinque compaesani, ma i carabinieri ci
trovarono e portarono a Milano: la città era stata bombardata a parte il duomo.
Poi riscappai sulle montagne da solo.
Non c’era cibo e quindi mio padre veniva a portarmi la minestra, di notte non si potevano
accendere luci ed ero costretto a dormire sugli alberi perché se i tedeschi mi avessero
trovato mi avrebbero
ucciso. Arrivarono i Tedeschi e una volta arrivati presero il bestiame e i vestiti e percuisirono tutta la casa
in cerca di monete, gioielli che per fortuna li avevamo messi in alcuni sachettini e legati con una lunga corda e buttati nel lago. Fu cosi
che non riuscirono a portare via i pochi soldi che avevamo e noi riuscimmo per
un periodo a mangiare qualcosa grazie a quelle monete. Poi arrivarono nei paesi vicini e catturarono dei partigiani all’Alpe di Lemna.
Catturarono anche dei miei compaesani e li portarono in Germania per 3 anni.
Gli americani arrivarono anche qui a Faggeto e i partigiani rimasti si unirono a loro per
combattere i Tedeschi.
Nelle osterie non si poteva discutere liberamente perché i tedeschi sospettavano che si parlasse
male di
loro ed era addirittura proibito macinare il grano; esisteva la tessera per
farsi dare il cibo come ad esempio 1 Kg di pane a settimana.
Alla notizie della fine della guerra
tutti fecero festa e nelle piazze dei nostri piccoli
paesi ci fu gran baldoria.
"Croce al valore di Mio Nonno Giuseppe"
Avvalorati da queste notizie, tra ricordi familiari,
racconti storici dati da persone del luogo e poi da la fantastica
documentazione trovata in rete, racconti di persone dell’epoca, ci dette la
voglia di continuare in questa avventura. Molte volte ci siamo immerse nel lago
cercando qualche piccolo segno di un passato remoto e molte volte ci siamo
guardati pensando di smettere con tali ricerche infruttuose. Ma non ci siamo
mai lasciati prendere la mano, anzi più caparbi che mai abbiamo continuato
nella ricerca, ci abbiamo creduto fino in fondo e questa nostra ostinazione ci
ha dato ragione. Tutti insieme in un
pomeriggio di fine inverno trovammo alcune cose interessanti che ci dettero
ragione e ci premiarono di tutto il nostro lavoro e tempo speso, ma felici di
aver ancora una volta dato luce a un pezzo della nostra storia .
Leonardo Canale Responsabili PSAI Italia e ricerche
storiche
Maurizio Bertini Responsabili PSAI Italia
Oscar Lodi Rizzini: Trainer Istruttore PSAI tecnico e ricreativo,
subacqueo fondista, il naso del gruppo colui che dalle asperità del fondale
riesce a trovare